Fontana del Moro
Dove e Collocata: |
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Piazza Navona |
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Zona: |
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Parione |
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Autore: |
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Giacomo della Porta ( 1574) |
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Committente: |
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Vari |
La fantasia popolare ha attribuito a questa bella fontana, e par¬ticolarmente alla sua figura centrale, « li Moro », un valore addirittura incalcolabile: gli inglesi avrebbero lottato a colpi di pacchi di sterline per assicurarsene il possesso, gli americani avrebbero offerto carri di dollari, un miliardario la avrebbe pagata a peso d'oro per adornarne la fontana di un suo giardino, tanto che le donnicciole del rione soglio¬no dire ancora con profonda convinzione che « se possedessero il Moro non avrebbero più bisogno di nessuno ».
Quando la fontana, che si chiamò dei Tritoni, venne eretta dal pontefice Gregorio XIII, verso il 1580, il Moro non c'era; anzi non era nato neppure l'artista che doveva più tardi scolpirlo. Ma anche così
come la fece eseguire papa Boncompagni dal Della Porta, era elegante e bella: a poco più di un palmo da terra si apre la grande vasca di marmo bianco, di pianta mistilinea, con quattro angoli retti tramezzati da quattro lati semicircolari. Nel mezzo sorge una seconda vasca minore, della stessa forma, scavata in un bel marmo portasanta: e dall'orlo di questa seconda vasca quattro gruppetti composti da ma¬scheroni, delfini e draghi araldici in marmo bianco, gettano i loro zampilli nel sottostante specchio d'acqua. Alternati con questi, ma un po' più in dentro, quattro tritoni, pure di marmo bianco, soffiano l'acqua dalle doppie canne delle loro buccine. Tutti questi marmi furono lavorati, per commissione di Gregorio XIII, da Leonardo di Sarzana, Flaminio Vacca, Siila Longo, lombardo, e Taddeo Landini, fiorentino.
Così come la aveva lasciata il suo creatore, con il pennacchietto saliente nel centro, la fontana era un po' bassa, e sembrava mancasse qualche cosa per completarne la linea. Nella sua grandiosa e signorile sistemazione di piazza Navona, Innocenzo X volle che la fontana posta proprio dinnanzi al portone del suo palazzo venisse compiuta ed abbel¬lita da una statua o da un gruppo centrale; e diede questo incarico al Bernini. Per questa fontana dei Tritoni, Gian Lorenzo modellò il boz¬zetto della sua aitante e vigorosa figura di etiope — il Moro — mag¬giore del vero, che in piedi sopra una grande conchiglia stringe con le due mani la coda di un delfino; il mostro, guizzando con la testa fra le gambe del muscoloso atleta, getta dalla bocca un largo ventaglio d'acqua.
Questa è la statua, molto lodata dagli artisti e dagli intenditori per la sua fiera impostazione, per la armonica proporzione delle for¬me, intorno alla quale il popolo di Roma ha creato la sua leggenda di bellezza impareggiabile, di valore incalcolabile. E in verità il Moro è un nudo superbo, degno della ammirazione che ha destato e che desta: questa scultura centrale ha conferito a tutta la fontana la nobile impronta del genio berniniano, riconoscibile sempre, in tutte le opere che egli ci ha lasciato.
Si deve soggiungere, però, che Gian Lorenzo eseguì il solo boz-
zetto del Moro; e che il marmo venne lavorato, sotto la sua direzione, da Giovanni Antonio Mari. Per vedere un altro Moro eseguito perso¬nalmente dal Bernini, bisogna ricercare il monumento funebre del <<Nigrita » — l'ambasciatore congolese creato dal Papa marchese di Nigrizia, e morto a Roma nel 1629 — che egli eseguì nel Battistero di Santa Maria Maggiore.
Era l'epoca in cui le ambascerie di tutto il mondo cattolico e le missioni portavano verso Roma una vera ondata di seducenti ispira¬zioni esotiche, delle quali il barocco doveva giovarsi grandemente, per la ricerca e per lo studio di nuovi motivi ornamentali.
Torniamo un momento — per finire con il Moro — al valore «•«rtistico e commerciale attribuitogli dalla leggenda popolare romana. Sembra che l'ammirazione delle donnette di Parionc non fosse susci¬tata da sentimenti puramente e astrattamente estetici. In questo sonetto del Belli, che celebra la bella fontana, si sente infatti spuntare un'altra, più antica leggenda, quella di Pigmalione e Galatea:
Vedi là quela statua der Moro
CJi arivorta la panza a sant'Agnese?
Ebbe, una vorta una signora ingresa
La voleva dar Papa, a peso d'oro.
Ma er Zanto Padre e tutto er Concistoro,
Sapenno che quer marmoro, de spesa,
Costava più zecchini che nun pesa,
Senza nemrnanco valutò er lavoro,
Je fesce arepricà dar Zenatore
Come e quarmente nun voleva venne
Una funtana de quer gran valore.
E quel’ingresa, che poteva spenne,
Dicheno che ce morze de dolore.
Lusciattèi, requia e scant'in pasce, ammenne.