XIX Celio - ROMACITTAETERNA

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RIONE XIX Celio
Origine Araldica
Lo stemma rionale raffigura il profilo di un africano con un copricapo di testa di elefante e spighe d'oro su fondo argento. Il significato araldico è riconduciblile alla memoria storica dei legionari africani che erano presenti sul colle Celio e capitanati dal console Scipione detto l' Africano.

Il Celio  è  il  XIX  rione di Roma, formatosi in epoca relativamente recente, e precisamente nell'anno 1921, da una suddivisione del rione x, Campitelli.
Presenta una superficie di 84.090 metri qua e al censimento del 1951 la popolazione residente comprendeva 10.840 persone.
suoi confini vengono delimitati dal Colosseo, dalla via di S. Giovanni in Laterano, comune detta lo Stradone, dalla via di S. Stefano Rotondo, da via della Navicella, da piazza di Porta Metronia, da porta Metronia stessa, e dalle mura urbane comprendenti la porta Lati la porta S. Sebastiano, piazza Numa Pom viale delle Terme di Caracalla, piazza di Porta Capena e la via di S. Gregorio.
Nello stemma presenta una testa d'Africa in nero con spoglie d'elefante e spighe d'oro su un fondo d'argento, a memoria di un busto di questo continente rinvenuto in via Capo d'A
rione Celio, che insieme all'Esquilino racco nella sua denominazione anche quella del colle omonimo, si stende su una dorsale lunga circa due chilometri e larga dai quattrocento ai cinquecento metri, che staccatasi dall'Esquili- no, subito dopo porta Maggiore, avanza fino ai dintorni di porta Capena. La parte orientale di questa dorsale è poco frastagliata, mentre quella occidentale presenta propaggini di livel comunque uniforme, della misura di circa cinquanta metri d'altezza, mediamente.
Il cosiddetto Monte d'Oro, ossia la collinetta che si eleva tra S. Sisto e le mura, detto anche il «Celiolo», pur essendo compreso ammini nel nostro rione, orograficamen- n te si collega invece all'Aventino.
Nella storia geologica del Celio bisogna osservare che nel tempo sono avvenuti profondi cambiamenti, innanzi tutto per il riempimento delle valli, così come è mutata l'altura di villa Celimontana e del Laterano: continui scarichi hanno fatto avanzare infatti l'altopiano fino a via della Ferratella, dove si trova il moderno edificio del ministero preposto al turismo e al spettacolo.
Insomma il colle in origine doveva avere un profilo ben più accidentato, con precipizi bo del tipo di quelli che ancora oggi si pos individuare a Villa Glori. Nelle propaggi di via di S. Gregorio la costituzione del ter è facilmente individuabile in tufi granula e litoidi, frammisti a sabbie e ad argille che danno origine ancora oggi a sorgenti che affio nella zona bassa della villa Celimontata e nella valle di S. Sisto, dove si trova il semensaio comunale.
La fonte delle Camene del resto, in tempi re assai rinomata, si trovava in una valle del Celio chiamata Egeria. Ne parla anche Giove all'inizio della sua terza satira:
«D'Egeria discendemmo nella valle e nelle grotte dalle vene ormai così diverse, e venerando ancora delle fontane il numero sarebbe se l'erba tenera un argine d'intorno non chiudesse in onde e tufi e marmi».
Altra sorgente di una certa risonanza storica, citata anche da Ovidio nei suoi «Fasti» (V, 674
era poi quella di Mercurio, che sgorgava dai fianchi del Celio.

Circa gli antichi abitanti del Celio, le fonti con almeno sulla fusione in loco di un ceppo latino con uno sabino. Anticamente il colle veniva chiamato Querquetolano, in quan ricoperto interamente di querce. Venne chia più semplicemente Celio da Caele Viben- na, capitano degli etruschi, come riporta Taci con la concisione che gli è propria, nei suoi «Annali» (IV, 65).
Caele Vibenna è un personaggio che troviamo citato anche dall'imperatore Claudio in un fa discorso che tenne al senato nel 48 d.C.; Vibenna avrebbe conquistato il colle che poi prese il suo nome e, fatto prigioniero da Cneo Tarquinio, sarebbe stato liberato da un certo Mastarna, che, ucciso Tarquinio, avrebbe go Roma con il nome di Servio Tullio. La leggenda è stata fermata iconograficamente in una pittura della tomba vulcente detta «François», attualmente a villa Albani. Il Celio fu l'ultimo dei sette colli romani ad es stato compreso nella cerchia muraria di epoca repubblicana, che dal colle Oppio rag porta Capena. Il Celio era attraversato da una fitta rete viaria, che tuttora conserva le denominazioni antiche; le strade principali erano la via Caelimontana e la via TUscolana; la prima seguiva il percorso dell'attuale via di S. Stefano Rotondo, per dare quindi origine al Clivus Scauri, al Vicus Capi Africae, oggi via della Navicella, e al Vicus Camoenarum. La via Tuscolana corrispondeva invece all'attuale via dei Ss. Quattro e passava per l'antica porta Querquetulana e sotto l'arco di Basile, prima di prendere la direzione di Mu- nicipium Tusculum.
Priva di edifici pubblici e di monumenti parti durante il periodo repubblicano non ab notizie di questa zona di Roma. Un tempio dedicato alla dea Carna sarebbe stato costruito sul colle in un luogo imprecisato, vo da Giunio Bruto, come narra Macrobio, mentre nel 241 a.C., presa Falerii, vi fu costrui il tempietto della Minerva Capta. Esiste una lapide che narra di un tempio dedicato a Erco Vincitore, fatto erigere nel 145 a.C. per la vittoria di Lucio Mummio dopo avere conqui l'Acaia e Corinto. Nel 312 a.C. il colle venne attraversato dall'ac delU<Aqua Appia» e un secolo dopo dal sotterraneo rivus Herculaneus della Mar
Sul finire della Repubblica il colle s'era abba popolato e Plinio ci ricorda la villa di Mamurra che possedeva colonne di marmo lu- nense e di Caristio di un solo pezzo. Poiché, inoltre, è dal Celio che si stacca la via Appia, regina viarum, è in questo rione che prese pie la moda di erigere lungo questa strada la propria tomba, da parte dei romani più illustri. E vi si trova tra le altre quella famosissima de Scipioni: austero monumento di cui restano le millenarie gallerie scavate nel tufo per allog i sarcofagi; a cominciare da quello di Sci Barbato, console nel 298 a.C. e caposti della famiglia.
Al tempo di Augusto il colle divenne la secon regione dell'Urbe. Presso S. Maria in Do- mnica il secolo scorso sono venute alla luce ve dello statio riservato ai legionari della quinta coorte. Nel 27 d.C. sul Celio avvenne un incendio di vaste proporzioni che a quanto pa leggendo Tacito («Annales» IV, 64), risparò solo la statua dell'imperatore Tiberio, a quel tempo regnante, posta nella casa del sena Giunio. Venne proposto perciò di chiama il colle mons Augustus. Nel 64 è l'incendio neroniano a distruggere poi tutta l'urbanizzazione della zona, dalla valle di S. Gregorio, propagandosi per quella Labicana fino alla Domus Aurea. A seguito di questo sfacelo la zona, ricostruita per volere imperiale, diverrà appannaggio esclusivo di Nerone; fatta salva, quasi a ripara di tanta cupidigia, l'edificazione del Ma- cellum Magnum, nel 59, dov'è ora S. Stefano Rotondo.
I Flavi, sopravvenuti a Nerone, edificarono il Colosseo dov'era anticamente un lago, pro attraverso ingenti opere di bonifi e di consolidamento; basti pensare all'im zoccolo di calcestruzzo che ne forma il basamento; quindi, tutt'attorno al «colosso», presero a sorgere magnifiche costruzioni più o meno adibite agli spettacoli che si svolgevano nell'anfiteatro, connesse tra loro da cunicoli sotterranei.
La zona, a seguito di questa specializzazione, s'infitti di costruzioni signorili, preziose per mosaici e opere d'arte, e Settimio Severo ripriò l'acquedotto neroniano, che ancora oggi domina la zona, arricchendolo di archi e d'i
Nel 271 Roma venne minacciata dall'invasione alemanna, e Aureliano pensò di cingere la città di nuove mura difensive, essendo cadute in di e in rovina quelle repubblicane. Il lavoro durò cinque anni e il manufatto presentava 8 metri d'altezza più un coronamento a parapet con merlature; lo spessore era di dodici piedi romani, mentre ogni trenta metri l'opera difen presentava una torre quadrata adatta a ospitare le artiglierie, ossia le ballistae. Il Ce a seguito di questa immane impresa, ospitò la porta Appia, che apparteneva alla prima classe dei varchi murari, data l'importanza del strada che serviva, ed era munita dunque di due fornici. La porta Latina, di minore impor aveva invece un solo fornice, mentre la porta Metronia, quale porta di terz'ordine e quasi «posterula», non aveva torri proprie, ma un semplice arco in un tratto di cortina. L'edificazione delle mura aureliane comprese nel futuro rione anche vasti tratti di terreno an-  cora disabitato, ma già carico di storia, per la grande quantità di tombe illustri e data la pre di consolari di primaria importanza, co la via Appia, già citata, e la via Latina. Ed eccoci giunti all'affermazione del cristiane come religione dello Stato, con l'afflusso e l'aggregazione di un clero sempre più vasto e articolato proprio nella zona del Celio, dove in S. Giovanni e S. Paolo abbiamo un primo esempio del sistema edilizio adottato dalla reli emergente, che si avvarrà, nell 'elevare le basiliche e le chiese per il nuovo culto, di edifi romani preesistenti.
La casa sotto la chiesa appena citata infatti ap a un certo Byzas, come attesta il titu- lus relativo, evidente sulla porta di accesso al
Sul Celio, e precisamente dove si trova oggi l'o militare, venne mantenuta una sorta di opposizione da parte di senatori e patrizi timo dei loro diritti minacciati dalla nuova reli ma questo solo fino al trionfo del credo cristiano, che non fu comunque più arginabile dopo la battaglia di Aquileia, avvenuta tra Teo e Eugenio il 5 settembre dell'anno 394. Il Celio subì poi immensi danni, non più ripa a seguito del saccheggio di Alarico, avve dal 24 al 27 agosto dell'anno 410. Infatti qui erano presenti le ville più sontuose e ricche di Roma e la Chiesa seppe ben approfittare di questo sfacelo, acquisendo via via, per succes donazioni, beni e terreni, avendo buon gioco nel contrapporre un al di là compensati a un al di qua così nero. In questo modo l'immane rovina della città ebbe una sorta di risorgimento ad opera della nuova classe socia rappresentata dai sacerdoti e dai fedeli, ope nella edificazione di templi, conventi ed ospizi, sfruttando le vestigia pagane. Quelle inutilizzate venivano invece lasciate alla rovina e nell'incuria. È in forza di questo nuovo corso urbanistico-sociale che sul Celio, seconda re di Roma, sorgerà il grande convento di S. Gregorio, dal quale partì poi S. Agostino di Canterbury, evangelizzatore della Britannia. Nel ix secolo il Celio fu centro d'importanti e grandiosi sviluppi urbanistici, tra i quali citia la diaconia di S. Maria in Domnica, voluta  «Veduta dell'anfiteatro Flavio, detto il Colosseo» (incisione di G.B. Piranesi).

da Pasquale i nell'817, e la chiesa dei Quattro Ss. Coronati, martiri scalpellini canonizzati da Leone iv nell'855.
S. Giovanni a porta Latina ebbe impulso invece da Adriano i, attorno al 770. Ma a causa del incendio provocato da Roberto il Guiscardo, i luoghi di culto e devozione del Ce insieme a tutto il tessuto urbano rionale, ebbero un colpo gravissimo. All'epoca ricor che il Colosseo, munito come una for era occupato dai Frangipane, baluardo tra le opposte fazioni di una Roma all'apice di lotte intestine e di feroci contese. Si deve a Innocenzo iii, nel 1210, l'abbazia di S. Tommaso in Formis con la sua originale porta cosmatesca sormontata con un'edicola a mosaico.
Il rione Celio possiede una delle iscrizioni più caratteristiche riferite alla storia della città e in particolare del rione stesso: si tratta dell'inci che si vede nel fornice di porta S. Seba sotto una grande, ma rozza figura del Michele che calpesta il drago. L'i porta la data del 29 settembre 1327 e ricorda la vittoria del popolo guidato dal capo Jacopo de Ponziani contro le milizie di re Roberto di Napoli, unitesi a quelle della Chie nell'intento di riprendersi Roma per impe l'accesso in città a Luigi il Bavaro. Anche nel periodo più drammatico la via che collegava S. Giovanni in Laterano alla città, detta la via Papale o Maggiore, rimase attiva e ben popolata. Oggi ha preso il nome di via dei Ss. Quattro.
La zona nel Seicento ebbe un fervore di riprese edilizie, specialmente riferite a ville e vigne. Una fra tutte nel Celio mette conto ora di cita quella detta della Navicella, oggi villa Celi- montana.
Un documento vivace sulla costruzione di que villa è rappresentato dallo scritto di Ciriaco Mattei, all'epoca suo proprietario, datato 17 agosto 1600: «Il giardino nominato della Navi per prima et da quaranta anni sono, era vigna et io con molta spesa et sollecitudine et tempo l'ho redutto in forma di giardino con haverci fatte molte et diverse statue, pili, tavole intarsiate, vasi, quadri di pittura et diversi mar et fattovi condurre l'acqua Felice... il che sia detto senza ostentazione et vanagloria ma solo per la verità et per essortazione delli miei posteri a conservarlo».
Per il resto il rione era coperto da vigne e da orti entro le linee delle superstiti vie consolari, e questa fisionomia agreste è ben rappresentata nella pianta del Nolli, che data l'anno 1748. Il quadrilatero compreso tra la via di S. Grego la via dei Ss. Giovanni e Paolo e la via della Navicella era occupato dalla vigna del Novizia dei missionari; quindi era la vigna dei mona camaldolesi di S. Gregorio, che si estendeva fino a porta S. Sebastiano. Ma numerose altre vigne di notevole importanza fondiaria nella zona erano di proprietà delle monache di S. Vincenzo in Panisperna, e dei monaci di S. Si Quindi era l'orto Passarini, la vigna Cam e quella Stantelli e infine quella della chiesa di S. Giovanni a porta Latina. Dov'è oggi il collegio irlandese era un tempo la vigna del cardinal Salviati. La parte urbana del rione era invece ben poca cosa, trattandosi, fino a quasi tutto l'Ottocento, d'una serie di case basse con orto annesso lungo la via di S. Giovanni in La Qualche altra casa era disseminata per via dei Ss. Quattro.
È per volere di Pio vii l'istituzione di un se- mensaio alle falde del Celio, tutt'ora funzio per il rifornimento dei giardini pubblici cittadini. È detto di S. Sisto, per via della valle omonima che lo ospita. Attualmente fa parte del servizio giardini del Comune di Roma. La quiete campestre del rione Celio durò fino all'entrata a Roma dei piemontesi, quando, da la relativa vicinanza della zona dal centro della città, venne nominata una commissione per studiare la costruzione di un nuovo centro urbano nell'area in questione. Nel 1871 viene stipulata una convenzione tra tali Guerrini e Rossi per la sistemazione dell'intera zona avva si direbbe oggi, di capitali misti, pro dal Piemonte, dalla Ligura e dalla Lombardia.
Compare quindi il progetto di una zona monu che diverrà poi la passeggiata archeo a firma di Guido Baccelli, con l'in di Ruggero Bonghi. La speculazione diede luogo a scempi notevoli, ancora oggi sot i nostri occhi, e uno di questi in assoluto de considerarsi l'edificazione, nel 1886, dell'o militare del Celio, che distrusse la villa Casali.
È della fine del secolo scorso l'edificazione progressiva di tutta la zona, mentre le ultimis sistemazioni urbanistiche hanno visto l'allargamento di via della Navicella, avvenuta nel 1931, che collega la cima del Celio a porta Metronia. Quindi è stata sistemata la via di S. Gregorio al Celio e il parco omonimo, con il relativo Antiquarium comunale; fu quindi aperta al pubblico la villa Celimontana, già Mattei; infine fu effettuato lo scavo su via dei Normanni, dov'è ora l'esattoria comunale, sa il convento delle Lauretane. Uno scavo che ha portato alla luce i reperti del Lu Magnus.
Adriano Prandi negli anni Cinquanta ha siste il complesso monastico dei Ss. Giovanni e Paolo, con la rarissima facciata del v secolo e il campanile romanico adiacente.

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