Fontana dei Quattro Fiumi
Dove e Collocata: |
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Piazza Navona |
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Parione |
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Autore: |
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Gian Lorenzo Bernini(1648) |
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Committente: |
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Innocenzo X Pamphilj |
LA FONTANA DEI FIUMI
Dopo le grazie e i favori del suo grande amico e mecenate Urbano Vili, che lo aveva definito singularis in singulis, in omnibus unicus, Gian Lorenzo Bernini ebbe, come è noto, un periodo di disgrazia e di forzata inattività durante i primi quattro anni del pontificato di Innocenzo X. Il memore Gian Lorenzo aveva disseminato di api aral¬diche la magnifica tomba del suo augusto protettore, e si era posto in disparte mentre i suoi nemici e i suoi concorrenti, primo fra tutti il Borromini, andavano conducendo contro di lui una asprissima campagna di denigrazioni e di critiche, per impedire che il nuovo Pontefice lo prendesse in grazia.
Il Bernini, fedele nel ricordo, nella gratitudine e nell'amicizia, a qualcuno che gli domandava se le api sciamanti sul sepolcro barbe- riniano alludessero alla dispersione della nobile famiglia di Urbano, riparata in Francia quando fu eletto l'avverso Pamphily, rispose argu-tamente: «Non sapete che le api disperse, ad un suono di campa¬nario subito si riuniscono? ».
Questa risposta mordace, feroce allusione al campanone di Cam¬pidoglio, che suonava per annunziare alla città la morte del Pontefice, ebbe una grande eco, e venne naturalmente riportata anche al Papa. Ma il Bernini non si preoccupava delle chiacchiere, e attendeva fidu¬cioso la sua ora; e mentre si lavorava a demolire il suo incompiuto campanile di san Pietro, soleva ripetere agli amici che lo confortavano della sua disgrazia: <( Roma può travedere, ma non perde mai la vista; verrà il mio tempo ».
La famiglia Pamphily, che aveva fatto erigere in piazza Navona il suo superbo palazzo e la chiesa di sant'Agnese, intendeva di conti-nuare l'abbellimento della regione in cui si era saldamente insediata. Nel mezzo della vasta piazza c'era già una fontana; ma era una disa¬dorna conca rotonda, formata con diversi pezzi di mischio orientale collegati insieme: e un condotto nascosto di acqua di Trevi la riempiva perennemente fino all'altezza di una fessura di scarico, aperta sotto
l'orlo. Una fontana che il poeta Peresio, nel suo « Maggio romanesco », aveva descritto pochi anni prima con questi versi:
Una fontana è in mezzo de la piazza D'un gran vascon de marmo e pieno d'acqua, Indove gente de villana razza Le man se lava e pure 'l labbro sciacqua; E 'l muso ancor drento ce alluffa e guazza Ogni animale, e 'l gargarozzo adacqua : Chi l'erba affonda a mantenerla fresca, E chi li frutti respruzzando infresca.
Un giorno il Magistrato di Roma aveva pensato , di nobilitare questa fontana, ponendovi in mezzo la celebre statua di Marforio: presa dai pressi dell'arco di Settimio Severo, dove giaceva, la statua venne trascinata fino a san Marco; ma a questo punto il Senato si pentì del suo primo proposito, e la fece portare in Campidoglio, dove rimase.
Si doveva dunque creare la nuova, grande fontana monumentale, da erigere nel mezzo di piazza Navona. Furono invitati i maggiori artisti, ad eccezione, bene inteso, del Bernini. Ma il principe Niccolò Ludovisi, marito di una nipote di Innocenzo X, impose a Gian Lorenzo, con l'autorità della sua amicizia, di formare un modello, che egli stesso si sarebbe incaricato di mostrare al Pontefice.
Bernini giuoco la grande carta, e affidò il suo bozzetto al Ludo- visi, che lo fece collocare bene in vista in una sala del palazzo Pam» phily per la quale Innocenzo X doveva passare, dopo un pranzo che gli era 6tato offerto dalla cognata, donna Olimpia Maidalchini.
Innocenzo X, che usciva dalla nobile alleanza della famiglia Pamphily con quella dei Del Bufalo-Cancellieri, era uomo troppo intelligente di cose d'arte, troppo colto, per non comprendere che si trovava di fronte ad un capolavoro. Dimenticò nobilmente ogni suo rancore, e si riconciliò con il Bernini, che ebbe poi carissimo. E gli affidò senz'altro la esecuzione della fontana, assegnandogli, oltre al promesso compenso di cinquemila scudi, la prefettura dell'acqua Felice — che conservò fino al pontificato di Clemente IX — e un canonicato in san Pietro per suo figlio Pier Filippo.
La sbrigliata fantasia del grande artista che ha concepito e creato questa singolare fontana, ha sedotto letterati e poeti, che ne han fatto lunghe, minuziose, liriche descrizioni: « incomparabile », aveva scritto il Bianconi ; « di una bellezza incantatrice », aveva scritto il sobrio e misuratissimo Milizia ; <( unica nel suo genere, vanto e decoro di Roma moderna, da non cedere in magnificenza e bellezza al più bello, al più magnifico (sic) ninfeo di Roma antica », in un opuscolo anonimo pubblicato a Roma dalla Tipografia Monaldi, nel 1839. Il grave p. Atanasio Kircher, che si trovava a Roma il 12 giugno 1651, giorno in cui la fontana venne pubblicamente e solennemente inaugurata, non lesinò neppur lui le sue lodi, così come le espressero entusiasti¬camente i maggiori artisti di tutti i tempi, compreso il Canova, che doveva emettere il suo giudizio oltre un secolo più tardi. Non essendo possibile riassumere o riportare tanta copia di materia, ci limiteremo a dare della fontana berniniana una sommaria descrizione.
In mezzo ad un bacino di oltre ventitré metri di diametro, sorge una scogliera traforata a giorno, che ha tutto l'aspetto di un'anfrat¬tuosa grotta naturale, e che il Bernini avrebbe eseguito tutta di sua mano perchè, al dire del Milizia, « stimavala di difficilissimo travaglio ». Ed è infatti sopra questa scogliera che si regge tutta la miracolosa architettura e si svolgono le complesse scene scolpite in marmo bianco, e disposte armonicamente ai quattro lati: sul vuoto centrale della SVÌO- gliera poggia l'immane peso del piedistallo e dell'obelisco, che si slan¬ciano in alto per ben ventuno metri, e che debbono la loro incrollabile stabilità alla saldezza degli incastri con i quali l'artista sommo ha con¬giunto fra loro i diversi pezzi. Ma l'affermazione del Milizia circa lo scoglio non sembra esatta, mentre risulta da diversi documenti che questa essenziale parte del monumento, pur sempre disegnata dal Bernini, è stata eseguita materialmente da Giovanni Maria Franchi, sulle forme di Giovan Pietro Del Duca.
Le quattro colossali statue sedute agli angoli della scogliera rap¬presentano i quattro grandi fiumi simboleggianti le parti del mondo allora note. E avrebbero potuto, a rigor di termini, essere cinque, perchè fino dal secolo XVI i portoghesi avevano scoperto le coste set¬tentrionali dell'Australia, di cui — del resto — gli olandesi avevano cominciato l'esplorazione nella prima metà del seicento, quando il Ber- * nini stava lavorando intorno alla sua Fontana dei Fiumi. Ma in quell'e¬poca le notizie si trasmettevano lentamente, e si volgarizzano più lenta-mente ancora: se così non fosse stato, la scogliera di piazza Navona avrebbe forse oggi una pianta pentagonale invece che quadrangolare, e una quinta statua, probabilmente quella dello sparuto e anemico Murray, starebbe a simboleggiare le acque scorrenti delle montagne del quinto continente, con gli emblemi della flora e della fauna austra¬liana. Ma per l'armonia del monumento è forse meglio che siano solo quattro.
Dal lato della Corsia Agonale siede la statua del Nilo, che ha il capo velato per ricordare il secolare mistero delle sue sorgenti; verso san Giacomo il Gange, il fiume sacro, con la fronte coronata di foglie, brandisce un remo, e vicino a lui, all'ombra di un palmizio, un mae¬stoso leone scende a dissetarsi, lambendo l'acqua con la lingua; dal lato di sant'Agnese il Rio de la Piata ha ancora il selvaggio aspetto delle popolazioni di un mondo nuovo, recentemente scoperto, e le agavi e il serpente che snoda le sue spire fra le roccie completano l'ambiente del piccolo paesaggio americano, che appariva già fino da allora a Gian Lorenzo come il paese dei dollari, tanto vero che un pugno di monete ruzzola giù tintinnando per la scogliera, a fianco del fiume. L'Europa, infine, è rappresentata dal Danubio, che occupa il quarto angolo; a fianco della statua si slancia dall'antro, con le nari aperte e frementi, un indomito puledro delle praterie ungheresi. Dietro la statua del Bio de la Piata si inerpica per la scogliera — strana biz¬zarria dell'artista, che avrebbe potuto scegliere un animale più noto e più significativo — un loricato armadillo, con le zampe posteriori immerse nell'acqua e le anteriori aggrappate alla roccia.
Strani pesci, delfini e serpenti marini guizzano per la vasca, intorno allo scoglio, con le fauci spalancate, come per bere o per ingo¬iare una preda che s'avvicini.
Intorno all'obelisco che sormonta la fontana gli eruditi, a comin¬ciare dal p. Kircher, si ingegnarono a congetturare per farne risalire le origini fino a Menufta o ad Amenofi, che lo avrebbero eretto nel tempio di Oro e Iside in Eliopoli, da dove lo avrebbe trasportato a Roma Caracalla. Ma è oramai ritenuto per certo che l'obelisco è invece una buona imitazione romana, fatta eseguire da Domiziano, forse per l'Iseo di Campo Marzio, e poi trasportato nel circo di Romolo, figlio di Massenzio, nei pressi della via Appia, dove giacque interrato fino a quando Innocenzo X lo fece scavare, e Bernini lo issò nella sua fontana.
Mentre la concezione e il disegno dell'opera sono completamente di Gian Lorenzo Bernini, l'esecuzione ha avuto a collaboratori i mi¬gliori allievi del Maestro. Sono stati attribuiti personalmente al Ber¬nini, oltre allo scoglio di cui si è già parlato, il cavallo, il leone e la palma; ma la cosa è poco verosimile: si sa con certezza, intanto, che la palma e il serpente sono di Lorenzo intagliatore e di G. B. Palombo.
Il Danubio è stato scolpito dal Lombardi, insieme con lo stemma di papa Pamphily, che altri assegna invece ad Ambrogio Appiani e Nicola Sale. Il Gange è opera di Claude Adam; il Nilo di Giacomo Antonio Fancelli, e il Rio de la Piata di Francesco Baratta. A queste due ultime statue il Bernini avrebbe imposti alcuni suoi tocchi per¬sonali, non si sa bene se a titolo di correzione o di parziale modifica-zione. La palomba e il giglio, infine, furono modellati da Nicola Sale.
Della cerimonia inaugurale l'anonimo romano del 1839 narra questo particolare. Compiuta che fu l'opera, Innocenzo X si recò per primo a vederla, ed esaminatala minutamente in ogni sua parte mani¬festò all'artista, nei termini più affettuosi e lusinghieri la sua ammi¬razione e il suo compiacimento, congratulandosi vivamente con lui.
Ma però — osservò scherzosamente quando era sul punto di ritirarsi — ell'è cotesta insino ad ora una fontana senza acqua.
Farò del tutto per farvela giugnere al più presto — rispose Gian Lorenzo, simulando un certo imbarazzo.
Intanto il Papa, che era rimasto a girare intorno alla fontana per
circa due ore, si disponeva a rientrare a palazzo, contento e soddi¬sfatto. 11 Bernini, che si era proposto di fare al papa una gradevole sorpresa, non appena egli ed il suo seguito ebbero voltate le spalle, fece ai suoi operai un segno che era stato in precedenza convenuto, ed ecco scrosciare improvviso e inatteso un fragore di acque impetuosa¬mente scorrenti. Aperti i rubinetti, sollevate le saracinesche, l'acqua Vergine irrompeva liberamente a traverso le fenditure della scogliera, rimbalzava spumeggiando sulle asperità della roccia, e scendeva, in mille spruzzi argentini e iridescenti a riempire il lago che doveva ser¬vire da specchio alla mirabile opera, oramai completa in ogni suo dettaglio.
L'aneddoto, se vero, si riconnette ad una delle molte piccole mali¬gnità messe allora in circolazione dal Borromini e dai suoi amici: che cioè il Bernini avrebbe bensì potuto costruire la fontana, ma che non sarebbe mai riuscito a farvi giungere l'acqua. Si disse pure che il Ber¬nini, impressionato da questa specie di profezia, avesse incaricato persona amica di indagare per sapere in che cosa consistesse la diffi¬coltà o dove si nascondesse il difetto della sua fontana. Cosa che appare poco verosimile, perchè Gian Lorenzo, oltre ad essere scultore e archi¬tetto, possedeva anche nozioni tali di ingegneria e di idraulica da non aver bisogno di suggerimenti e di consigli. Nè si sarebbe mai indotto, per la naturale fierezza del carattere, a far richiedere questi consigli e questi suggerimenti proprio al suo più accanito avversario, al più malevolo dei suoi nemici e concorrenti.
Ma la storia dell'acqua che non sarebbe venuta corse con insi¬stenza, e merita di essere riferita. Si disse che il Bernini, nel costruire i condotti che portavano l'acqua, aveva dimenticato « qualche cosa » : e che, seriamente preoccupato di questa diceria, egli andasse indagando per sapere di che cosa potesse trattarsi. Sarebbe stata una fantesca dello stesso Borromini che gli avrebbe aperto gli occhi, dicendo — a lui od a qualcuno che glie lo riferì — che la mattina, avendo portato al suo padrone il caffè nella caffettiera con il coperchio abbassato, non era riuscita a far discendere il liquido nella tazza. « Vuoi fare come alla fontana di piazza Navona? Solleva quel coperchio! ». La fantesca non aveva compreso l'allusione; ma la avrebbe compresa subito e bene Gian Lorenzo, che picchiandosi la fronte avrebbe esclamato: « Gli sfiatatoi ». Solo dopo questo avvertimento avrebbe provveduto alla trascurata aereazione dei condotti. E il giorno stesso dell'inaugurazione l'acqua scorse, fragorosa e spumeggiante, con grande dispetto del Bor- romini che aveva sperato di veder restare a secco l'opera dell'odiato rivale.
Le burle e le polemiche fiorirono numerose intorno alla nuova fontana, che fu per un pezzo l'argomento di tutte le discussioni, sopra¬tutto per l'audace sfida che essa sembrava lanciare alle leggi della statica, con quel suo obelisco piantato sul vuoto della scogliera. 11 Borromini e i borrominiani, non potendo opporre altro alla corrente ammirativa popolare, insinuarono che l'obelisco, piantato a quel modo, in falso, non avrebbe potuto reggersi, e che una mattina o l'altra sarebbe fragorosamente caduto, travolgendo tutto nella sua rovina. Seppe la cosa Gian Lorenzo, e recatosi in piazza Navona con alcuni operai e una lunga scala, fece tendere, dall'alto della colomba pam- philia che posa sulla cima dell'obelisco, alle sbarre di ferro che circon¬dano la vasca, quattro sottili spaghi. Poi disse a coloro che si erano raccolti intorno e che guardavano meravigliati la strana operazione: « Andate a dire al Borromini che adesso, così assicurato, l'obelisco non cadrà più ».
Nè i berniniani rimanevano passivi o silenziosi. La statua del Bio de la Piata — dicevano — se ne sta con la mano alzata verso la facciata di sant'Agnese, costruita dal Borromini, per iscongiurarne la caduta e per salvarsi dai calcinacci. Vero è — soggiungevano — che la statua di sant'Agnese posta presso la base del campanile di destra tiene la mano sul petto per assicurare che, in virtù del suo intervento, la facciata non cadrà.
E ancora: la statua del Nilo si copriva gli occhi e la testa col manto, per non vedere gli errori e le brutture della facciata borro- miniana.
Questa lotta di frizzi, di malignità, di acerbe critiche durò un pezzo, e fu il grande e infelice Borromini che ne ebbe la peggio: mentre la gloria e la popolarità del suo rivale si consolidavano di giorno in giorno, egli doveva tristemente avviarsi verso la pazzia e il suicidio: si trascinò, sempre più bizzarro e strano, fino al 1567, anno in cui si trapassò con la sua spada.
Storie o storielle, ora comiche ed ora tragiche, queste vicende ci fanno rivivere lo spirito di un tempo in cui il fervido amore per l'arte provocava nobili emulazioni ed aspre rivalità, dal cui contrasto nasce¬vano quei capolavori che si impongono, dopo secoli, alla nostra mera¬vigliata e commossa ammirazione.
Prima di abbandonare la superba fontana dei Fiumi, debbo ricor¬dare come essa servisse, tutti i sabati e le domeniche di agosto, a for-mare il famoso « lago » nel quale folleggiavano e diguazzavano, in mezzo alle luminarie e ai concerti, i romani e i forestieri accorsi a visitare l'Urbe e a curiosare intorno ai suoi caratteristici costumi.
Questo di piazza Navona non era il solo allagamento che si pro¬vocasse a Roma per far divertire e rinfrescare il popolo durante i mesi canicolari: un tempo si allagavano anche piazza Farnese e il capo di Ponte Sisto, nella dirittura di via Giulia. Per piazza Farnese, anzi, c'era il progetto di un tale Pascoli il quale voleva — nientemeno — atterrare sei isolati di case per formare delle due piazze, Farnese e Campo de' Fiori, una piazza sola, ed ottenere così uno spazio più vasto da allagare. Era forse la tradizione nostalgica delle antiche naumachie, che riviveva nell'animo dei romani, dopo il ritorno delle acque.
L'allagamento di piazza Navona — dice la cronaca di Gaetano Moroni — « che si fa dalla mattina alla sera in tutti i sabati e dome¬niche di agosto, incominciò a rallegrare la città sotto Innocenzo X, ai 23 giugno del 1652 ».
Questo allagamento, che si provocava facendo traboccare le fon¬tane e ostruendo le chiaviche, venne permesso dai successivi pontefici Alessandro VII e Clemente IX. Lo fece sospendere nel 1676 Innocenzo XI per ragioni igieniche, nè vollero consentire a ripristinarlo Ales-sandro Vili e Innocenzo XII; solo nel 1703, ai 4 di agosto, Clemente
XI accordò che il Foro Agonale si allagasse come prima « per divertire i romani, come spasso piacevole e lecito », dopo avere consultato il suo illustre archiatra Lancisi, che disse innocuo l'allagamento, purché si provvedesse a rimuovere le immondizie il giorno precedente e quello successivo.
Nel 1705 le acque si fecero restare tutta la notte, mentre al chia¬rore di faci, torcie e lanterne si svolgevano serenate e cene. Nel 1720 l'allagamento venne sospeso per essere ripreso nel 1725, sotto il ponti¬ficato di Benedetto XIII. Lo sospese Clemente XII per timore del colera, lo vietò prima e lo permise poi Benedetto XIV; ma la festa — frequen¬tata un tempo da sovrani, regine, principi, cardinali e nobili romani — era andata decadendo, degenerando in una volgare gazzarra per il popolino, e in una comodità per i cocchieri, che vi conducevano a bagnarsi i cavalli e le ruote inaridite delle carrozze. Onde questa antica costumanza, dopo una breve ed effimera ripresa sotto il ponti¬ficato di Leone XII, cadde definitivamente in disuso, senza più speranze di risurrezione.