Introduzione - ROMACITTAETERNA

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I PONTI DI ROMA

Disegno di come veniva costruito un Ponte


Gli agglomerati di capanne, che si costituirono sul Palatino e sugli altri colli, erano probabilmente destinati a rimanere semplici villaggi se non ci fosse stato il Tevere e, in quel punto dove si trova oggi l'isola Tiberina, la possibilità di attraversarlo. È qui, nel fulcro commerciale della città, dove sorsero il Foro Boario e il Foro Olitorio (il mercato di bestiame e degli ortaggi), che fu gettato il primo ponte di Roma, in una zona paludosa che rappresentava l'unico tratto di facile passaggio, per il corso inferiore del Tevere, tra nord e sud. La riva destra del fiume, l'odierno Trastevere, faceva allora parte del litorale etrusco (litus tuscus) ed era chiamata anche ripa mente, in quanto rientrava nel territorio degli etruschi di Veio, città che distava da Roma circa dodici miglia.
Il ponte, quindi, rappresentava un trait d'union tra le genti latine ed etrusche e, pertanto, bisognava poterlo distruggere facilmente, nel caso di un peggioramento dei rapporti tra i due popoli; così per la sua realizzazione furono utilizzate travi di legno legate insieme e da ciò derivò il nome di Pons Sublicius (cioè gettato su palafitte in legno) con il quale passò alla storia. In un'epoca in cui la vita della collettività non era ancora regolata da norme giuridiche codificate, tutto ciò che era importante per i cittadini era considerato sacro; per questo la cura del ponte fu affidata a un personaggio rivestito di autorità sacrale, chiamato pontifex (è Varrone, nel De lìngua latina, che ricollega l'etimologia della parola a questo significato, ma non tutti gli studiosi moderni sono d'accordo). Ogni anno, il 14 maggio, si gettavano nel Tevere dal ponte Sublicio fantocci di paglia, a memoria di sacrifici umani di origine atavica, come indennizzo al fiume per essere stato oltrepassato.
La leggenda tramanda che sul ponte Sublicio - la cui costruzione risalirebbe, stando a Livio, al tempo
di Anco Marcio - Orazio Coclite riuscì da solo a trattenere gli etruschi armati, mentre i suoi compagni scioglievano e rompevano gli assi di legno che lo sorreggevano. Il ponte, dunque, era stretto e poteva essere difeso anche da un solo uomo; fu utilizzato anche nella fuga delle vestali a Caere, prima dell'attacco dei galli. Le fonti raccontano, infatti, che le sacerdotesse, portando via una parte degli oggetti sacri, seguirono la strada che, attraverso il ponte conduceva al Gianicolo. Il ponte Sublicio ebbe anche importante funzione, poiché facilitava il traffico interessato al commercio del sale dal Foro Boario verso sud-ovest, fino alla via Portuense e alla foce del Tevere. Distrutto da violente inondazioni, che Dione Cassio descrive come un prodigium, il ponte fu sempre riparato e ricostruito; sappiamo che nel IV secolo d.C. era ancora in piedi e viene menzionato ancora nei Cataloghi Regionari. La sua distruzione finale risale forse al V secolo d.C.
Sempre nei pressi del Foro Boario doveva trovarsi il più antico ponte in pietra di Roma, l'Emilio, che portava in direzione ovest, verso Cerveteri e le città costiere d'Etruria. In accordo con Livio, M. Fulvio Nobiliore, forse associato in questa opera al suo collega M. Aemilius Lepido, quando era censore nel 179 a.C, commissionò la costruzione di pilas ponti in liberi, cioè dei piloni del ponte sui quali, nel 142 a.C, P. Scipione Africano e L. Mummio fecero costruire le arcate (fomices). Nel 156 a.C una violenta tempesta fece crollare nel Tevere il tectum del Pons Maximus, nome con cui, per distinguerlo dal Sublicio, si indicava il ponte Emilio, chiamato anche Pons Maior nell'itinerario di Einsiedeln. L'identificazione del ponte Emilio con l'attuale ponte Rotto è ormai certa-, sappiamo che l'antica infrastruttura rimase in piedi almeno fino al 1557, quando una piena la distrusse parzialmente. Papa Gregorio XIII fece riparare il ponte, ma nel 1598 la parte orientale crollò e nel 1887 due dei tre archi, allora in piedi, furono rimossi; così è rimasto un solo arco, che oggi possiamo ammirare in mezzo al Tevere, proprio sopra ponte Palatino. Assai ben conservato è, invece, il ponte Fabricio, o Quattro Capi, costruito nel 62 a.C. dal curator vìarum Lucio Fabricio, figlio di Caio, che unisce l'isola Tiberina alla sponda sinistra del fiume, all'altezza del teatro di Marcello. Il ponte è lungo 62 m e largo 5,50: il nucleo è composto da blocchi di tufo e peperino, e originariamente presentava un rivestimento in travertino, oggi solo parzialmente conservato. All'età di papa Innocenzo XI, al 1679, risale probabilmente il paramento in mattoni, come ricorda l'iscrizione ancora leggibile. Il pilone centrale sorregge due grandi arcate a sesto lievemente ribassato, tra le quali si apre un piccolo arco destinato a diminuire la pressione dell'acqua quando il fiume è in piena. Nella balaustra moderna sono state
inserite due erme quadrifronti, che dovevano probabilmente sostenere le strutture originarie in bronzo. Sull'arcata più vicina al Campo Marzio, un'iscrizione ricorda i nomi dei consoli del 21 a.C, Marco Lollio e Quinto Lepido, a cui probabilmente deve riferirsi un restauro del ponte dopo la grande inondazione del 23 a.C. che, tra l'altro, danneggiò molto seriamente il ponte Sublicio.
Intorno al I secolo a.C, più o meno contemporaneamente al Fabricio, dovette essere costruito anche il ponte Cestio, che collegava l'isola Tiberina con Trastevere. Prima della sua totale distruzione, avvenuta tra il 1888 e il 1892, il manufatto si conservava nella forma definita dal restauro del 370 d.C, voluto dagli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano, come ricorda l'iscrizione reinserita sulla spalla destra del ponte. È stato supposto che il nome medievale dell'isola Tiberina, Lycaonia, derivasse dalla collocazione sul ponte Cestio di una statua scolpita con le sembianze di questa regione dell'Asia Minore, divenuta provincia proprio nel 373.
Oltre ai ponti già menzionati, ne esistevano altri di cui abbiamo solo vaghe testimonianze: è il caso degli esigui resti dei piloni poco a valle dell'odierno ponte Vittorio, generalmente identificati con un ponte menzionato solo dalle fonti medievali con il nome di Neroniano o Trionfale. A questo si affiancò il ponte voluto da Adriano per congiungere il proprio mausoleo con la città, da lui denominato Elio, ancora esistente con il nome di ponte S. Angelo. Il monumento ha subito più volte rimaneggiamenti: era costituito da tre grandi archi centrali, ancora superstiti, e due rampe inclinate, sostenute da
archetti, tre nella riva sinistra e due nella destra. Queste ultime strutture, venute alla luce nel 1892 durante i lavori di risistemazione delle rive, furono in seguito distrutte. Sappiamo che il ponte venne inaugurato nel 134 d.C, come attestavano le due epigrafi ripetute ai due ingressi e ricopiate dall'Anonimo di Einsiedeln. Conosciamo, poi, l'esistenza di un ponte Aurelio, probabilmente lo stesso che nel Medioevo è detto Antonino e che fu distrutto; alcune iscrizioni trovate nella zona sembrerebbero attestare un rifacimento del monumento da Valentiniano. Al suo posto, venne in seguito eretto il ponte Sisto. Non è neppure precisabile l'esatta posizione del ponte di Probo: alcuni studiosi ritengono che sia da identificarsi con quello chiamato nel Medioevo "ponte di Teodosio", situato all'altezza dell'Aventino. Del tutto scomparso è, invece, il ponte di Agrippa, che è stato localizzato a monte dell'odierno ponte Sisto.


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