Nel descrivere la figura di Annibale lo storico Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) ne esalta le grandi virtù ma non tralascia i vizi, specie la ''perfidia" ritenuta dai romani proverbiale attributo dei cartaginesi:
''Arditissimo nell'affrontare i pericoli, nei pericoli era poi prudentissimo. Nessuna fatica poteva fiaccare il suo corpo né abbattere l'animo suo. Tollerava dal pari il caldo e il freddo; nel mangiare e nel bere si regolava secondo il natural bisogno, non secondo l'ingordigia; le ore della veglia e del sonno non erano per lui distinte né dal giorno né dalla notte: dava al riposo il tempo che gli avanzava dal servizio. Era di gran lunga il primo tra i cavalieri come tra i fanti, primo a entrare in battaglia, ultimo a ritirarsi a battaglia finita. Queste sue grandi virtù erano pareggiate da grandi vizi: crudeltà disumana, perfidia più che cartaginese, nulla per lui era vero, nulla era sacro, non aveva nessun timore degli dei, nessun rispetto ai giuramenti, nessuno scrupolo."