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Roma Antica > Acquedotti
Lo schema raffigura un ipotetico acquedotto. L'approvvigionamento idrico era garantito da una sorgente o da una diga rafforzata con un muro di sostegno in calcestruzzo (un impasto di ghiaia, pietrisco e cemento che garantiva l'impermeabilità). Gii ingegneri cercavano di sfruttare le pendenze naturali e di evitare tutti gli ostacoli; quando ciò non era possibile si costruivano gallerie o viadotti. Le condutture erano poste su ponti ad archi che potevano superare anche dislivelli di circa 45 metri con la sovrapposizione di tre arcate. Se il dislivello da superare era maggiore le tubazioni appoggiate a una rampa in muratura si facevano scendere fino a valle; la pendenza era calcolata in modo tale da poter imprimere all'acqua una forza sufficiente per risalire lungo la fiancata successiva e colmare un nuovo serbatoio. Per impedire che una pressione eccessiva facesse saltare le tubature, sul punto più basso del fondovalle venivano costruiti degli
sfiatatoi. Si cercava di ricorrere al minor numero possibile di gallerie, in quanto la loro costruzione era difficile, pericolosa e costosa, in ogni caso a intervalli regolari (circa 1200 metri) venivano lasciate delle aperture sia per diminuire la pressione dell'acqua sia per permettere interventi di riparazione. La condutura, che complessivamente poteva essere lunga diversi chilometri (il più lungo acquedottto di Roma, l'acqua Marcia, superava i 90 Km circa; quello di Cartagine, fatto costruire da Adriano, raggiungeva i 135 Km), terminava in un serbatoio di distribuzione, da cui si diramavano le tubazioni che portavano l'acqua nei quartieri delle città. L' acqua veniva prima convogliata in bacini di decantazione perchè, perdendo velocità depositasse sul fondo eventuali impurità;inoltre, venivano effettuati periodici controlli sullsa qualità delle acque.