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Roma Antica > Cucina
La tavola è lo specchio della civiltà e della cultura sia per quanto riguarda la coltivazione del suolo, sia per la trasformazione dei frutti della terra. Cosa mangiavano i Romani? Le fonti di allora (Apicio, Giovenale, Petronio, Columella) ci raccontano i dettagli degli ingredienti e della loro preparazione, compreso il galateo e i riti.
Immaginiamoci quindi di fare un bel salto indietro nel tempo e di ritrovarci nello stesso luogo da dove siamo partiti, ospiti di un banchetto all'interno di una domus romana. Quali saranno i piatti che ci saranno serviti? Avranno sapori ed aromi a cui siamo abituati oppure resteremo inorriditi soltanto alla loro vista? Sicuramente dipenderà dal tipo di occasione per cui saremo invitati a partecipare alla mensa del nostro ospite; in effetti, pensando all'epoca romana si è portati a pensare erroneamente, che i Romani fossero dediti a continue orge e a monumentali banchetti come vengono descritti quelli di Nerone e di Trimalcione.
In primo luogo occorre puntualizzare che gran parte della popolazione non avendo a disposizione tutte le comodità di cui disponevano le famiglie dei ricchi, per mangiare doveva arrangiarsi e molto spesso i pasti venivano consumati per strada; molto diffuse erano le taverne (caupona) e i venditori ambulanti, i quali vendevano un po di tutto e per lo più olive, pesci in salamoia, pezzetti di carne arrosto, uccelli allo spiedo, polpi in umido, frutta, dolci e formaggio. Di solito il pasto medio di un povero era composto da un pezzo di pane e da piccoli pesci in salamoia accompagnati da un bicchiere d'acqua o di vino tra i più scadenti. I momenti della giornata dediti al soddisfacimento dei bisogni della gola erano in linea di massima tre: il Jentaculum o prima colazione; il prandium, o pranzo di mezza giornata e la cena, ovvero il pranzo di fine giornata.. Il Jentaculum e il prandium di solito erano ridotti a un misero spuntino consumato in fretta e furia durante le varie attività che caratterizzavano la giornata lavorativa e la loro importanza era talmente minima che frequentemente uno dei due veniva addirittura saltato. Il pasto più importante della giornata era la cena; era in questa occasione che l'uomo romano poteva assaporare i vari piatti più o meno elaborati, comodamente disteso sul triclinae e conversare con i suoi convitati. Alla cena ci si recava di solito dopo aver fatto il bagno alle terme, dove, tra l'altro si aveva l'occasione di incontrare i propri conoscenti e invitarli alla propria mensa, infatti le terme erano anche il ritrovo di molti sfaccendati che vi si recavano con la speranza di ricevere un invito da qualche amico.
LA CENA
Schema di disposizione di un triclinium
Plinio e Marziale ci descrivono l'inizio della cena dopo l'ora ottava in inverno (circa le ore due del pomeriggio) e dopo l'ora nona in estate e aveva fine (a seconda delle proporzioni della cena) prima che fosse notte fonda. Il pasto era consumato in un luogo ben preciso della casa, chiamato triclinium, nome dovuto alla presenza in questa stanza di alcuni letti a tre posti (triclinia, dal greco Klinai, letto) sui quali si stendevano i convitati. I triclinia erano delle superfici in legno o in muratura , leggermente inclinate verso la parte esterna della mensa, sulle quali venivano distesi materassi, coperte e cuscini. I convitati vi prendevano posto, tre per ogni letto, distesi su un fianco, uno accanto all'altro in modo da avere di fronte il tavolo; stavano appoggiati sul gomito sinistro e con il braccio destro portavano i cibi alla bocca. Il primo letto da sinistra verso destra era chiamato summus, il secondo, cioè quello centrale e d'onore era chiamato medium e l'ultimo , quello di destra era l'imus, il posto dove di solito era disteso il padrone di casa ; stessi nomi erano dati ai tre posti che componevano il letto: locus summus, locus medium e locus imus, fatta eccezione per il posto dell'ospite d'onore, chiamato locus consularis. Appena lo schiavo che annunciava gli invitati (nomenclator) aveva sistemato comodamente i partecipanti alla cena, i servitori (ministratores) iniziavano a portare i piatti, che potevano essere piani (patina o patella) o fondi (catinus), i bicchieri senza manico o poculum o le coppe e altri strumenti come coltelli, stuzzicadenti ecc. I convitati alle cenae mangiavano con le mani e non utilizzavano le posate; soltanto in caso di pietanze liquide o cremose, erano muniti di cucchiai di varie forme fra i quali i più utilizzati erano la ligula, o cucchiaio classico e la trulla , o mestolo. Proprio in conseguenza del maggiore utilizzo delle mani, alla fine di ogni portata i servi provvedevano al loro lavaggio prima di passare al piatto successivo. Molti convitati usavano portare da casa alcuni tovaglioli che oltre a essere usati come tovaglia, servivano per portare a casa gli avanzi del pasto o i doni (apophoreta) a volte distribuiti dal padrone di casa.La cena iniziava con gli antipasti o gustatio, i quali erano formati da cibi leggeri come le olive ( olio), le immancabili uova, porri, funghi, ostriche e varie verdure, accompagnate da vino con miele (mulsum); proseguiva con la cena vera e propria, composta di varie portate, chiamate ferculum. Dopo le libagioni in onore dei Lari la fase conclusiva della cena era formata da dessert (secundae mensae) e dal rito tradizionale della commissatio, diffusa più frequentemente nei grandi banchetti, che consisteva in una grande bevuta generale di vino sottoposta a regole ferree, durante la quale si assisteva anche a piccoli spettacoli, concerti o letture.